Terre d'Europa

Abruzzo da vivere (e da abitare)

Nel nuovo film di Riccardo Milani “Un mondo a parte” in un piccolo paese sull’Appennino abruzzese la possibile chiusura della scuola riaccende l’entusiasmo per il vivere in una realtà autentica e genuina

Abruzzo da vivere (e da abitare)

Testo: Marino Pagano

Il film che serviva, potrebbe dirsi. Di sicuro, nel film “Un mondo a parte”, regista Riccardo Milani, c’è il quadro un pochino stereotipato, ma tutto sommato più che reale, della provincia interna appenninica italiana. Siamo in Abruzzo ma poteva andar bene anche il vicino Molise oppure, salendo più a Nord, nelle spesso innevate realtà alpine. Realtà piccole, come Opi, il paese dov’è principalmente girato il film, ambientato nell’immaginario borgo di Rupe. E se dici Abruzzo, dici parchi regionali, dici Appennino profondo. Qui arriva all’improvviso un nuovo maestro (Antonio Albanese), proveniente da Roma, da cui fugge perché desideroso di nuove avventure di vita. Ed eccola anche qui, la neve, proprio mentre il protagonista arriva in paese. Cibo, ospitalità, l’ambiente stesso della scuola: tutto un po’ rude, però genuino, di sicuro autentico. Al maestro va bene così, freddo compreso. Fin quando non gli fanno sapere che chiuderanno la scuola del paese perché i bambini, in un centro di 300 abitanti, non possono che essere pochi, troppo pochi. Né nascono. “Ma se muore la scuola, muore il paese”, ci si dice e non ci si rassegna coralmente nel film. Vivace la reazione di tutti per evitare che ciò accada, rischiando di fare la fine di una borgata diversi decenni prima completamente abbandonata e che giace ormai diruta e sepolta dai rovi, vicino al paese. La scuola del piccolo centro sarà rimpinguata, così, grazie a figli di profughi ucraini. Non manca un certo idillio zuccheroso, tuttavia un film da vedere. Assolutamente.

Bravissimi gli attori, diremmo soprattutto i non professionisti. Sarebbe stato lecito, visto il tema, attendersi qualche elemento migliore in fotografia paesaggistica, talvolta un pochino ingenua e infantilmente iconica (i lupi, così tanti e così vicini ai paesi, ma dai). Il senso del film è però nel contenuto, almeno quello principale dell’Italia interna e del suo valore, perché poi ci si perde un pochino tra i registri. Resta un’opera necessaria perché affronta un reale problema italiano. Lo fa, certo, con l’ironia guardinga di Albanese, che non è più da tempo (solo) il comico grottesco e irriverente; lo fa anche con aspetti quasi canzonatori verso gli stilemi della terra italiana – interna e radicale-, aspetti che però incutono fascino, retorico si vuole, verso la provincia recondita; lo fa, certo, con uno stile misurato in tutto, senza virtuosismi o eccessi. L’Abruzzo resta da amare con senso delle criticità, non certo da allontanare, come potrebbe sembrare sulle prime. Si è parlato di “cartolina triste” per la bella regione del Centro Sud e non siamo d’accordo. Bello il messaggio sulla riscoperta degli autori e dei cantori locali, grande tradizione che viene dal mondo pastorale. Chiaro anche l’appello al valore insopprimibile dell’educazione e della scuola, anima di un centro. Ma sappiamo pure come sia difficile poter garantire tutto ciò in borghi, talvolta, dalle poche centinaia di abitanti (in certi casi anche decine, senza arrivare al centinaio). E c’è poi l’amore tra i due docenti, i personaggi principali del film, interpretati da Albanese e dalla versatile Virginia Raffaele. E quando c’è quello, si sa, tutto fiorisce e rifiorisce. Vuoi vedere che l’assunto varrà anche per i borghi e per le nostre belle e difficili realtà dell’Italia interna?

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