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Albania: il lato gustoso di Tirana

Un minuscolo ristorante dove gustare cibi genuini e il quartiere del Bllok, ex zona residenziale del regime tra poli culturali e locali della movida

Albania: il lato gustoso di Tirana

Tirana, istockphoto

Testo: Chiara Lignarolo

Atterriamo con uno degli oltre 20 voli low cost che collegano l’Italia all’Albania. Il tempo è bello e decidiamo di fare un giro. Ci accoglie una città fatta di profumi, colori, persone che ci somigliano, una commistione che ricorda casa, ma che porta indietro nel tempo. È come fare un tuffo negli anni ‘90, in un’Italia passata. Nei ristoranti è ancora consentito fumare, la pausa caffè è un lento rituale e le persone chiacchierano all’infinito nei bar davanti a un Çai mali, il tipico thè di montagna o, la sera, con in mano un bicchierino di rachi, la tipica grappa dal sapore selvatico. La lingua è un mix di albanese, italiano e inglese: in qualche modo ci si capisce.

Arriviamo all’hotel nella zona appena riqualificata di Pazari i ri, un quartiere con locali tipici che grigliano carni fino a notte fonda e un mercato centrale che ricorda la nostra Vucciria di Palermo e dove si può acquistare di tutto dalle spezie sfuse ai tappeti, ma anche ciotole variopinte e tabacco. Tirana appare una città eclettica e ricca di contraddizioni. Vedo persone con facce vere, stropicciate, vissute, che richiamano alla mente un passato lontano, ancora vivo però nel rigore del comportamento degli abitanti di Tirana. In città ci sono centri commerciali e hotel di lusso e non è raro incontrare donne eleganti e bellissime. Il rispetto reciproco, esteso anche ai turisti, è fondamentale; anche le religioni hanno imparato a convivere. A Tirana si sente il rintocco delle campane della chiesa, mentre poco dopo un altoparlante diffonde la voce del muezzin. Chiese, cattedrali e moschee si susseguono in una normalità che in questi giorni di cronaca atroce, pare impossibile.

Verso sera ci mettiamo alla ricerca di un posto dove mangiare qualcosa: ci indicano un fabbricato che pare quasi abbandonato ma provvisto di una porta che introduce in una saletta con tavoli di legno apparecchiati con tovaglie di carta. Un uomo alto, dai capelli bianchi e cortissimi e gli occhi gentili ci accoglie con un caloroso “benvenuti”. Arturo parla molto bene l’italiano e i cinque tavoli del suo ristorante danno l’impressione di essere entrati nel soggiorno della sua casa. Ci accomodiamo in un cortiletto, dove vivono anche dei gatti che fanno parte della famiglia. La storia di Arturo è legata, come quella di tanti albanesi, all’Italia. Racconta che il nostro paese gli ha insegnato il valore dell’ospitalità e anche a cucinare con quel garbo, di gesti e sapori, che porta in tavola ancora oggi. In passato in Albania il piatto tipico era il pollo con le patate e la pasta al burro.

Nella sua casa-ristorante, senza insegna e senza social, il pesce arriva tutti i giorni e il menù si prepara in base agli ingredienti freschi appena acquistati. Il ristorante di Arturo è un luogo difficile da trovare, quasi segreto, ma dove la genuinità è una garanzia. Noi abbiamo assaggiato i Pllaqi, dei fagioli giganti tipo cannellini, morbidissimi e pastosissimi con un polpo alla piastra, polipetti al sugo leggermente piccanti e risotto al nero di seppia.

C’è ancora tempo per un giro al Bllok che è stata la zona residenziale del regime comunista, dove si trovava anche la residenza del leader supremo, Emver Hoxha. Ora il quartiere è stato restiutio alla città: qui convivono vecchio e nuovo, poli culturali e ricreativi, accanto a locali della movida. E così come in un libro pop up voltiamo pagina e scopriamo un lato tutto nuovo di Tirana. Alcuni locali ricordano la Milano da bere, ma pure un po’ Kuta Bali. Ci sono luci soffuse, lunghi banconi, sgabelli di velluto, musica lounge, donne e uomini eleganti che chiacchierano in un’atmosfera raffinata. Si beve bene, si mangiano i classici taglieri all’italiana in un ambiente piacevole e interessante. Non è forse l’Albania che cerco, ma anche qui mi sento un po’ a casa.

L’esperienza a Tirana finisce così, in un’immersione frenetica di immagini tanto diverse tra loro. Ho l’impressione di aver visto una città in evoluzione che sta cercando di ritrovare una sua identità, mantenendo vive le tradizioni. Comprendo il desiderio di proiettarsi nel futuro ma dentro di me spero soprattutto di trovare tra qualche anno ancora il ristorante di Arturo e non un anonimo centro commerciale.

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